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Interventi organizzativi e politiche di genere
BOOK · JANUARY 2010
3 AUTHORS, INCLUDING:
Barbara Poggio
Annalisa Murgia
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Università degli Studi di Trento
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Università degli Studi di Trento
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Available from: Barbara Poggio
Retrieved on: 23 February 2016
Indice
Introduzione
1. Strumenti e processi di analisi e misurazione
Analizzare le organizzazioni in un’ottica di genere/Certificare l’attenzione al genere/Misurare la
convenienza: i costi di non parità
2. L’ottica di genere per la qualità dei processi organizzativi
Gestire le carriere nelle organizzazioni/La flessibilità oraria/Gli strumenti a favore della
conciliazione
3. Servizi aziendali e politiche integrate sul territorio
I servizi aziendali/Le politiche integrate sul territorio
4. Dal cambiamento individuale al cambiamento culturale
Fare formazione in un’ottica di genere/Sensibilizzare dentro e fuori le organizzazioni
Conclusioni
Bibliografia
Introduzione
Negli ultimi decenni le organizzazioni si sono trovare ad affrontare una serie di questioni inedite,
legate in particolare ai vari processi di differenziazione che hanno riguardato sia i bisogni soggettivi
a cui rispondere, sia i prodotti e i servizi da offrire, sia le caratteristiche e le esigenze della forza
lavoro, sia gli stakeholder a cui rendere conto del proprio operato.
Una delle questioni più rilevanti è senza dubbio quella legata alle differenze di genere. Sono infatti
ormai innumerevoli gli studi che hanno messo in luce la persistenza di una sostanziale asimmetria
nell’accesso e nei percorsi di sviluppo professionale di uomini e donne all’interno delle
organizzazioni, nonostante i profondi cambiamenti che hanno caratterizzato le scelte formative, gli
orientamenti familiari e professionali e le abitudini delle donne (e in parte anche degli uomini) negli
ultimi decenni. Un fenomeno che in Italia sembra essere ancora più pronunciato di quanto non
accada in altri paesi occidentali (Pruna 2007).
Il permanere di situazioni di segregazione e discriminazione a sfavore delle donne rappresenta oggi
un problema non soltanto in termini di equità, ma anche di costi economici ed organizzativi. Si
profila così per le organizzazioni la crescente esigenza di gestire, promuovere e sviluppare azioni,
servizi e politiche del lavoro in grado di riconoscere e valorizzare le differenze (di genere, ma non
solo) e di ridurre l’attuale divario di opportunità. Si tratta di un cambiamento di prospettiva che
risponde da un lato ad un’enfasi sempre più condivisa sulla responsabilità sociale delle aziende, ma
dall’altro anche al crescente riconoscimento dell’importanza strategica di una efficace gestione
delle risorse umane che, in una società della conoscenza, rappresenta senza dubbio una importante
leva competitiva.
Questo libro intende rispondere a questa esigenza, offrendo una panoramica dei principali strumenti
operativi e delle possibili opzioni metodologiche utili per attuare strategie di intervento e
cambiamento organizzativo, articolate in un’ottica di genere.
In ottica di genere
Ma cosa significa collocarsi in un’ottica di genere? A cosa ci riferiamo quando parliamo di genere?
Prima di addentrarci nella descrizione delle diverse politiche in grado di favorire un cambiamento
dei modelli di genere, vale forse la pena di delineare la cornice di riferimento in cui intendiamo
collocarci ed in particolare il concetto di genere a cui ci richiamiamo. Negli ultimi anni il termine
“genere” è stato infatti ampiamente utilizzato all’interno di una pluralità di discorsi, spesso con
significati e implicazioni differenti, talvolta anche controproducenti rispetto alle finalità che lo
avevano generato, per cui riteniamo utile esplicitare fin da subito qual è la nostra posizione.
Possiamo definire il genere come un insieme di concezioni socialmente acquisite e di pratiche
discorsive e relazionali che tendono a normalizzare la differenza sessuale. Non ci riferiamo dunque
ad una proprietà delle persone, ma piuttosto a qualcosa che le persone pensano, fanno e dicono,
producendo e riproducendo posizionamenti asimmetrici sulla base di corpi diversamente sessuati
(Murgia e Poggio 2009). Il concetto di genere è nato negli anni ’70 proprio per affrontare la
questione dell’asimmetria di potere tra uomini e donne nelle diverse sfere sociali, basata sulla
distinzione tra attività produttive e riproduttive, con l’intento di evidenziarne la natura socialmente
costruita (e quindi modificabile) (Scott 1986, Piccone Stella e Saraceno 1996). Guardare al lavoro e
alle organizzazioni in un’ottica di genere significa oggi mettere in luce e decostruire i discorsi e le
pratiche sociali che definiscono ruoli, percorsi e forme di riconoscimento differenziati per donne e
uomini. Promuovere politiche di genere implica identificare ed applicare strumenti e modalità di
intervento in grado di sovvertire l’ordine di genere dominante, producendo scenari alternativi.
Oggi esistono vari tipi di azioni che vengono fatte ricadere sotto il cappello del genere e in questo
libro ne prenderemo in considerazione diverse. Prima di farlo tuttavia ci pare utile delineare una
sorta di mappa dei diversi approcci, cercando anche di indicare quali sono le filosofie e i modelli
interpretativi a cui esse si richiamano1. Dietro ad ogni politica e ad ogni intervento è infatti sempre
possibile identificare una specifica visione del problema e delle sue cause ed è sempre consigliabile,
prima di applicare particolari strumenti e metodi, averne chiare le premesse (e le implicazioni).
Il primo modello interpretativo si basa su una visione individualista e funzionalista della società e
delle organizzazioni, partendo dal presupposto dell’esistenza di un divario femminile che bisogna
cercare di colmare. Alla base di tale divario vi sarebbero alcune differenze funzionali tra uomini e
donne, legate in particolare alla maternità, che storicamente li hanno portati a svolgere compiti e
mansioni diverse (Becker 1981). Questa specializzazione avrebbe prodotto nelle donne un deficit di
quelle competenze ed esperienze necessarie per affermarsi nel mondo del lavoro. L’obiettivo di
azioni correttive diventerebbe dunque quello di colmare questa mancanza, attraverso un processo di
assimilazione, mirato a rendere le donne il più possibile simili agli uomini, fornendo loro il
necessario equipaggiamento in termini di competenze tecniche (quelle necessarie per i lavori in cui
le donne risultano sottorappresentate) e trasversali (quelle legate in particolare all’assertività e alla
leadership, dimensioni considerate particolarmente importanti nei contesti organizzativi e
tradizionalmente identificate come maschili).
1
Per una più accurata rassegna delle diverse prospettive teoriche sul genere e l’equità di genere si veda il contributo di
Marta Calas e Linda Smirchic (1996).
Su una posizione alternativa, si collocano invece le interpretazioni che – a partire dagli anni ’70 concentrano la loro attenzione sulle differenze strutturali (Kanter 1977, Reskin 1984). Il focus in
questo caso si sposta dalle motivazioni individuali ai vincoli socio-strutturali. L’enfasi è posta sul
come le strutture del mercato del lavoro e della società più in generale (dominate dall’egemonia
patriarcale) riducono le opportunità di sviluppo professionale e di carriera delle donne. La
dimensione quantitativa risulta centrale: si ritiene infatti che fintanto le donne saranno minoranza,
non avranno voce in capitolo per poter modificare la situazione e per emanciparsi dalla loro
posizione di emarginazione e sfruttamento. La traduzione in termini operativi di questa posizione
interpretativa è data dalle politiche di pari opportunità: per fronteggiare l’esistenza di una struttura
sociale che svantaggia le donne (ad esempio lasciando sulle loro spalle il carico della doppia
presenza, escludendole dalle posizioni decisionali, collocandole in attività lavorativa scarsamente
riconosciute) si ritiene opportuno proporre azioni di sistema in grado di ridurre le barriere e gli
ostacoli che si frappongono al raggiungimento di una equa partecipazione alla vita economica,
politica e sociale. Le strategie privilegiate sono le cosiddette “azioni positive”, ovvero interventi
mirati al potenziamento degli strumenti di supporto alla cura (spesso concentrate in particolare sulla
maternità), come gli asili nido o i voucher di cura per le madri, o alla definizione di quote di posti o
di risorse destinate a correggere eventuali squilibri nell’accesso a posti di lavoro o a posizioni
decisionali.
Un terzo tipo di approccio è quello che focalizza la sua analisi sull’influenza della socializzazione
primaria nei processi di costruzione identitaria e sul conseguente sviluppo di differenti tratti di
personalità e stili di comportamento, più orientati all’assertività e all’autoaffermazione negli uomini
e alla relazionalità e alla dipendenza nelle donne (Chodorow 1978, Gilligan 1982). Questa precoce
differenziazione di competenze ha significative conseguenze nei contesti di lavoro, dove le
caratteristiche sviluppate dalla componente maschile risultano decisamente più premiate, mentre
quelle più tipicamente femminili spesso non vengono adeguatamente valorizzate (Fletcher 1998).
La proposta di intervento conseguente a questa analisi è orientata in primo luogo all’esigenza di
valorizzare la diversità ed in particolare di riconoscere lo specifico contributo che le competenze
sviluppate delle donne (tra cui in particolare la capacità di gestire le relazioni interpersonali, oggi
strategica per una organizzazione) possono offrire ai setting lavorativi (Barabino, Jacobs e Maggio
2001).
L’ultimo filone interpretativo invita invece a spostare l’enfasi su quanto accade all’interno delle
organizzazioni ed in particolare alla dimensione culturale. Il genere non viene visto come qualcosa
di esterno alle organizzazioni, ma come il prodotto di processi di costruzione e negoziazione che
hanno luogo anche all’interno delle stesse organizzazioni, attraverso le interazioni tra i membri
dell’organizzazione e tramite le pratiche gestionali (Gherardi e Poggio, 2003). L’analisi si concentra
sui modelli di cittadinanza di genere, sulle culture organizzative, sugli elementi simbolici dei luoghi
di lavoro. Promuovere cambiamento sulla base di questa prospettiva significa dunque decostruire e
sovvertire le pratiche egemoniche, proponendo visioni e trame alternative. E’ probabilmente la sfida
più complessa, ma forse anche quella che può portare a cambiamenti più profondi. Ognuno degli
approcci a cui abbiamo fatto riferimento presenta diversi vantaggi e limiti, che ci portano a
sostenere l’opportunità da un lato di evitare soluzioni predefinite, cercando di trovare le proposte
più adatte agli specifici contesti in cui si interviene, dall’altro di privilegiare risposte complesse, in
grado di intervenire su più leve. In particolare riteniamo cruciale la dimensione culturale, che
dovrebbe essere presente in ogni tipo di intervento, per lo meno nei termini di una attenzione alle
implicite conseguenze che le soluzioni adottate possono avere (ad esempio nel riprodurre
tacitamente quegli stessi pregiudizi che si vorrebbero combattere, come nel caso di una eccessiva
enfasi sulle specificità di genere o di politiche di supporto alla conciliazione rivolte in via esclusiva
alle donne).
L’articolazione del volume
Questo libro risponde da un lato all’esigenza di fare il punto sulle pratiche organizzative finalizzate
ad affrontare la questione delle differenze di genere: negli ultimi anni in Italia sono state prodotte
molte rassegne di buone prassi organizzative, ma quasi mai si è riusciti ad andare oltre la
presentazione e la catalogazione delle diverse iniziative, cercando di proporre una più articolata
riflessione in grado di collocarle in un più ampio frame interpretativo. Dall’altro può essere visto
come un tentativo di offrire a chi nella sua esperienza professionale si misura quotidianamente con
il problema della gestione delle differenze, sia in veste di manager che di consulente, una serie di
strumenti – interpretativi ed operativi – a cui poter fare riferimento. Vorremmo tuttavia sottolineare
fin da subito che l’intento non è quello di fornire una lista di ricette adatte a qualsiasi situazione, ma
piuttosto di mettere in luce la necessità di progettare interventi articolati, in grado di tener conto
della complessità e del carattere situato delle questioni affrontate, e di privilegiare una prospettiva
di processo, piuttosto che l’ottica di breve periodo che caratterizza il modello – ad oggi dominante –
della “gestione delle emergenze”. Solo in questo modo infatti è possibile creare le condizioni per
effettivi cambiamenti sia per le organizzazioni, che per le carriere e i vissuti delle donne e degli
uomini che vi operano.
L’articolazione del volume è dunque finalizzata a definire una sorta di mappa concettuale dei
diversi ambiti di azione che possono essere esplorati e sviluppati per implementare politiche
organizzative in un’ottica di genere. In particolare vengono delineati quattro aree: la ricerca, i
processi organizzativi, i servizi e le politiche, la formazione e la sensibilizzazione.
Il primo capitolo si basa sulla constatazione che per sviluppare interventi efficaci nelle realtà
organizzative è necessario partire da una accurata analisi del contesto. Questo primo obiettivo può
essere realizzato attraverso il ricorso a differenti metodologie di ricerca, che vanno dall’analisi dei
dati già raccolti all’interno delle organizzazioni, alla conduzione di rilevazioni quantitative o di
indagini qualitative per mettere a fuoco specifici aspetti dell’organizzazione. Particolare attenzione
verrà dedicata all’opportunità di operare in una prospettiva di ricerca-azione, in grado di coniugare
la dimensione dell’analisi e quella della sperimentazione e del cambiamento, garantendo un
maggior coinvolgimento dei/lle destinatari/e delle azioni. Il capitolo si concentra inoltre
sull’integrazione di una prospettiva di genere nelle pratiche di rendicontazione sociale ed
economica delle organizzazioni.
Un secondo ambito su cui si focalizzerà la nostra riflessione sarà quello della gestione del
personale, una leva strategica sempre più importante per le organizzazioni. In particolare
prenderemo in considerazione i principali strumenti e le diverse soluzioni che le organizzazioni
possono adottare per consentire lo sviluppo di tutte le potenzialità e di tutti i talenti di cui
dispongono, riducendo il rischio di discriminazione e marginalizzazione della componente
femminile e promuovendo una più equilibrata partecipazione di donne e uomini sia alla sfera
pubblica che a quella privata. In particolare si metterà in evidenza l’esigenza di puntare su una
logica di processo, in grado di garantire una gestione efficace di tutte le risorse umane, anche
attraverso il riconoscimento di bisogni individualizzati.
Nel terzo capitolo ci proponiamo invece di prendere in considerazione l’area dei servizi finalizzati a
favorire una migliore armonizzazione tra vita lavorativa e vita personale e familiare, chiamando in
causa anche la responsabilità della collettività e l’esigenza di un più efficace coordinamento tra i
diversi attori economici, sociali ed istituzionali. Specifica attenzione verrà dunque rivolta sia alle
azioni che possono essere svolte all’interno delle organizzazioni, sia agli interventi mirati ad
organizzare i tempi e i servizi di un determinato territorio.
Infine il quarto capitolo si propone di esplorare l’area degli interventi più esplicitamente orientati a
ridefinire le culture di genere all’interno delle organizzazioni, ma anche nei più ampi contesti
sociali in cui esse operano. A tal fine verranno presentate alcune delle possibili strade perseguibili,
dai percorsi formativi alle campagne promozionali.