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See discussions, stats, and author profiles for this publication at: https://www.researchgate.net/publication/283852437 Interventi organizzativi e politiche di genere BOOK · JANUARY 2010 3 AUTHORS, INCLUDING: Barbara Poggio Annalisa Murgia 51 PUBLICATIONS 694 CITATIONS 62 PUBLICATIONS 65 CITATIONS Università degli Studi di Trento SEE PROFILE Università degli Studi di Trento SEE PROFILE Available from: Barbara Poggio Retrieved on: 23 February 2016 Indice Introduzione 1. Strumenti e processi di analisi e misurazione Analizzare le organizzazioni in un’ottica di genere/Certificare l’attenzione al genere/Misurare la convenienza: i costi di non parità 2. L’ottica di genere per la qualità dei processi organizzativi Gestire le carriere nelle organizzazioni/La flessibilità oraria/Gli strumenti a favore della conciliazione 3. Servizi aziendali e politiche integrate sul territorio I servizi aziendali/Le politiche integrate sul territorio 4. Dal cambiamento individuale al cambiamento culturale Fare formazione in un’ottica di genere/Sensibilizzare dentro e fuori le organizzazioni Conclusioni Bibliografia Introduzione Negli ultimi decenni le organizzazioni si sono trovare ad affrontare una serie di questioni inedite, legate in particolare ai vari processi di differenziazione che hanno riguardato sia i bisogni soggettivi a cui rispondere, sia i prodotti e i servizi da offrire, sia le caratteristiche e le esigenze della forza lavoro, sia gli stakeholder a cui rendere conto del proprio operato. Una delle questioni più rilevanti è senza dubbio quella legata alle differenze di genere. Sono infatti ormai innumerevoli gli studi che hanno messo in luce la persistenza di una sostanziale asimmetria nell’accesso e nei percorsi di sviluppo professionale di uomini e donne all’interno delle organizzazioni, nonostante i profondi cambiamenti che hanno caratterizzato le scelte formative, gli orientamenti familiari e professionali e le abitudini delle donne (e in parte anche degli uomini) negli ultimi decenni. Un fenomeno che in Italia sembra essere ancora più pronunciato di quanto non accada in altri paesi occidentali (Pruna 2007). Il permanere di situazioni di segregazione e discriminazione a sfavore delle donne rappresenta oggi un problema non soltanto in termini di equità, ma anche di costi economici ed organizzativi. Si profila così per le organizzazioni la crescente esigenza di gestire, promuovere e sviluppare azioni, servizi e politiche del lavoro in grado di riconoscere e valorizzare le differenze (di genere, ma non solo) e di ridurre l’attuale divario di opportunità. Si tratta di un cambiamento di prospettiva che risponde da un lato ad un’enfasi sempre più condivisa sulla responsabilità sociale delle aziende, ma dall’altro anche al crescente riconoscimento dell’importanza strategica di una efficace gestione delle risorse umane che, in una società della conoscenza, rappresenta senza dubbio una importante leva competitiva. Questo libro intende rispondere a questa esigenza, offrendo una panoramica dei principali strumenti operativi e delle possibili opzioni metodologiche utili per attuare strategie di intervento e cambiamento organizzativo, articolate in un’ottica di genere. In ottica di genere Ma cosa significa collocarsi in un’ottica di genere? A cosa ci riferiamo quando parliamo di genere? Prima di addentrarci nella descrizione delle diverse politiche in grado di favorire un cambiamento dei modelli di genere, vale forse la pena di delineare la cornice di riferimento in cui intendiamo collocarci ed in particolare il concetto di genere a cui ci richiamiamo. Negli ultimi anni il termine “genere” è stato infatti ampiamente utilizzato all’interno di una pluralità di discorsi, spesso con significati e implicazioni differenti, talvolta anche controproducenti rispetto alle finalità che lo avevano generato, per cui riteniamo utile esplicitare fin da subito qual è la nostra posizione. Possiamo definire il genere come un insieme di concezioni socialmente acquisite e di pratiche discorsive e relazionali che tendono a normalizzare la differenza sessuale. Non ci riferiamo dunque ad una proprietà delle persone, ma piuttosto a qualcosa che le persone pensano, fanno e dicono, producendo e riproducendo posizionamenti asimmetrici sulla base di corpi diversamente sessuati (Murgia e Poggio 2009). Il concetto di genere è nato negli anni ’70 proprio per affrontare la questione dell’asimmetria di potere tra uomini e donne nelle diverse sfere sociali, basata sulla distinzione tra attività produttive e riproduttive, con l’intento di evidenziarne la natura socialmente costruita (e quindi modificabile) (Scott 1986, Piccone Stella e Saraceno 1996). Guardare al lavoro e alle organizzazioni in un’ottica di genere significa oggi mettere in luce e decostruire i discorsi e le pratiche sociali che definiscono ruoli, percorsi e forme di riconoscimento differenziati per donne e uomini. Promuovere politiche di genere implica identificare ed applicare strumenti e modalità di intervento in grado di sovvertire l’ordine di genere dominante, producendo scenari alternativi. Oggi esistono vari tipi di azioni che vengono fatte ricadere sotto il cappello del genere e in questo libro ne prenderemo in considerazione diverse. Prima di farlo tuttavia ci pare utile delineare una sorta di mappa dei diversi approcci, cercando anche di indicare quali sono le filosofie e i modelli interpretativi a cui esse si richiamano1. Dietro ad ogni politica e ad ogni intervento è infatti sempre possibile identificare una specifica visione del problema e delle sue cause ed è sempre consigliabile, prima di applicare particolari strumenti e metodi, averne chiare le premesse (e le implicazioni). Il primo modello interpretativo si basa su una visione individualista e funzionalista della società e delle organizzazioni, partendo dal presupposto dell’esistenza di un divario femminile che bisogna cercare di colmare. Alla base di tale divario vi sarebbero alcune differenze funzionali tra uomini e donne, legate in particolare alla maternità, che storicamente li hanno portati a svolgere compiti e mansioni diverse (Becker 1981). Questa specializzazione avrebbe prodotto nelle donne un deficit di quelle competenze ed esperienze necessarie per affermarsi nel mondo del lavoro. L’obiettivo di azioni correttive diventerebbe dunque quello di colmare questa mancanza, attraverso un processo di assimilazione, mirato a rendere le donne il più possibile simili agli uomini, fornendo loro il necessario equipaggiamento in termini di competenze tecniche (quelle necessarie per i lavori in cui le donne risultano sottorappresentate) e trasversali (quelle legate in particolare all’assertività e alla leadership, dimensioni considerate particolarmente importanti nei contesti organizzativi e tradizionalmente identificate come maschili). 1 Per una più accurata rassegna delle diverse prospettive teoriche sul genere e l’equità di genere si veda il contributo di Marta Calas e Linda Smirchic (1996). Su una posizione alternativa, si collocano invece le interpretazioni che – a partire dagli anni ’70 concentrano la loro attenzione sulle differenze strutturali (Kanter 1977, Reskin 1984). Il focus in questo caso si sposta dalle motivazioni individuali ai vincoli socio-strutturali. L’enfasi è posta sul come le strutture del mercato del lavoro e della società più in generale (dominate dall’egemonia patriarcale) riducono le opportunità di sviluppo professionale e di carriera delle donne. La dimensione quantitativa risulta centrale: si ritiene infatti che fintanto le donne saranno minoranza, non avranno voce in capitolo per poter modificare la situazione e per emanciparsi dalla loro posizione di emarginazione e sfruttamento. La traduzione in termini operativi di questa posizione interpretativa è data dalle politiche di pari opportunità: per fronteggiare l’esistenza di una struttura sociale che svantaggia le donne (ad esempio lasciando sulle loro spalle il carico della doppia presenza, escludendole dalle posizioni decisionali, collocandole in attività lavorativa scarsamente riconosciute) si ritiene opportuno proporre azioni di sistema in grado di ridurre le barriere e gli ostacoli che si frappongono al raggiungimento di una equa partecipazione alla vita economica, politica e sociale. Le strategie privilegiate sono le cosiddette “azioni positive”, ovvero interventi mirati al potenziamento degli strumenti di supporto alla cura (spesso concentrate in particolare sulla maternità), come gli asili nido o i voucher di cura per le madri, o alla definizione di quote di posti o di risorse destinate a correggere eventuali squilibri nell’accesso a posti di lavoro o a posizioni decisionali. Un terzo tipo di approccio è quello che focalizza la sua analisi sull’influenza della socializzazione primaria nei processi di costruzione identitaria e sul conseguente sviluppo di differenti tratti di personalità e stili di comportamento, più orientati all’assertività e all’autoaffermazione negli uomini e alla relazionalità e alla dipendenza nelle donne (Chodorow 1978, Gilligan 1982). Questa precoce differenziazione di competenze ha significative conseguenze nei contesti di lavoro, dove le caratteristiche sviluppate dalla componente maschile risultano decisamente più premiate, mentre quelle più tipicamente femminili spesso non vengono adeguatamente valorizzate (Fletcher 1998). La proposta di intervento conseguente a questa analisi è orientata in primo luogo all’esigenza di valorizzare la diversità ed in particolare di riconoscere lo specifico contributo che le competenze sviluppate delle donne (tra cui in particolare la capacità di gestire le relazioni interpersonali, oggi strategica per una organizzazione) possono offrire ai setting lavorativi (Barabino, Jacobs e Maggio 2001). L’ultimo filone interpretativo invita invece a spostare l’enfasi su quanto accade all’interno delle organizzazioni ed in particolare alla dimensione culturale. Il genere non viene visto come qualcosa di esterno alle organizzazioni, ma come il prodotto di processi di costruzione e negoziazione che hanno luogo anche all’interno delle stesse organizzazioni, attraverso le interazioni tra i membri dell’organizzazione e tramite le pratiche gestionali (Gherardi e Poggio, 2003). L’analisi si concentra sui modelli di cittadinanza di genere, sulle culture organizzative, sugli elementi simbolici dei luoghi di lavoro. Promuovere cambiamento sulla base di questa prospettiva significa dunque decostruire e sovvertire le pratiche egemoniche, proponendo visioni e trame alternative. E’ probabilmente la sfida più complessa, ma forse anche quella che può portare a cambiamenti più profondi. Ognuno degli approcci a cui abbiamo fatto riferimento presenta diversi vantaggi e limiti, che ci portano a sostenere l’opportunità da un lato di evitare soluzioni predefinite, cercando di trovare le proposte più adatte agli specifici contesti in cui si interviene, dall’altro di privilegiare risposte complesse, in grado di intervenire su più leve. In particolare riteniamo cruciale la dimensione culturale, che dovrebbe essere presente in ogni tipo di intervento, per lo meno nei termini di una attenzione alle implicite conseguenze che le soluzioni adottate possono avere (ad esempio nel riprodurre tacitamente quegli stessi pregiudizi che si vorrebbero combattere, come nel caso di una eccessiva enfasi sulle specificità di genere o di politiche di supporto alla conciliazione rivolte in via esclusiva alle donne). L’articolazione del volume Questo libro risponde da un lato all’esigenza di fare il punto sulle pratiche organizzative finalizzate ad affrontare la questione delle differenze di genere: negli ultimi anni in Italia sono state prodotte molte rassegne di buone prassi organizzative, ma quasi mai si è riusciti ad andare oltre la presentazione e la catalogazione delle diverse iniziative, cercando di proporre una più articolata riflessione in grado di collocarle in un più ampio frame interpretativo. Dall’altro può essere visto come un tentativo di offrire a chi nella sua esperienza professionale si misura quotidianamente con il problema della gestione delle differenze, sia in veste di manager che di consulente, una serie di strumenti – interpretativi ed operativi – a cui poter fare riferimento. Vorremmo tuttavia sottolineare fin da subito che l’intento non è quello di fornire una lista di ricette adatte a qualsiasi situazione, ma piuttosto di mettere in luce la necessità di progettare interventi articolati, in grado di tener conto della complessità e del carattere situato delle questioni affrontate, e di privilegiare una prospettiva di processo, piuttosto che l’ottica di breve periodo che caratterizza il modello – ad oggi dominante – della “gestione delle emergenze”. Solo in questo modo infatti è possibile creare le condizioni per effettivi cambiamenti sia per le organizzazioni, che per le carriere e i vissuti delle donne e degli uomini che vi operano. L’articolazione del volume è dunque finalizzata a definire una sorta di mappa concettuale dei diversi ambiti di azione che possono essere esplorati e sviluppati per implementare politiche organizzative in un’ottica di genere. In particolare vengono delineati quattro aree: la ricerca, i processi organizzativi, i servizi e le politiche, la formazione e la sensibilizzazione. Il primo capitolo si basa sulla constatazione che per sviluppare interventi efficaci nelle realtà organizzative è necessario partire da una accurata analisi del contesto. Questo primo obiettivo può essere realizzato attraverso il ricorso a differenti metodologie di ricerca, che vanno dall’analisi dei dati già raccolti all’interno delle organizzazioni, alla conduzione di rilevazioni quantitative o di indagini qualitative per mettere a fuoco specifici aspetti dell’organizzazione. Particolare attenzione verrà dedicata all’opportunità di operare in una prospettiva di ricerca-azione, in grado di coniugare la dimensione dell’analisi e quella della sperimentazione e del cambiamento, garantendo un maggior coinvolgimento dei/lle destinatari/e delle azioni. Il capitolo si concentra inoltre sull’integrazione di una prospettiva di genere nelle pratiche di rendicontazione sociale ed economica delle organizzazioni. Un secondo ambito su cui si focalizzerà la nostra riflessione sarà quello della gestione del personale, una leva strategica sempre più importante per le organizzazioni. In particolare prenderemo in considerazione i principali strumenti e le diverse soluzioni che le organizzazioni possono adottare per consentire lo sviluppo di tutte le potenzialità e di tutti i talenti di cui dispongono, riducendo il rischio di discriminazione e marginalizzazione della componente femminile e promuovendo una più equilibrata partecipazione di donne e uomini sia alla sfera pubblica che a quella privata. In particolare si metterà in evidenza l’esigenza di puntare su una logica di processo, in grado di garantire una gestione efficace di tutte le risorse umane, anche attraverso il riconoscimento di bisogni individualizzati. Nel terzo capitolo ci proponiamo invece di prendere in considerazione l’area dei servizi finalizzati a favorire una migliore armonizzazione tra vita lavorativa e vita personale e familiare, chiamando in causa anche la responsabilità della collettività e l’esigenza di un più efficace coordinamento tra i diversi attori economici, sociali ed istituzionali. Specifica attenzione verrà dunque rivolta sia alle azioni che possono essere svolte all’interno delle organizzazioni, sia agli interventi mirati ad organizzare i tempi e i servizi di un determinato territorio. Infine il quarto capitolo si propone di esplorare l’area degli interventi più esplicitamente orientati a ridefinire le culture di genere all’interno delle organizzazioni, ma anche nei più ampi contesti sociali in cui esse operano. A tal fine verranno presentate alcune delle possibili strade perseguibili, dai percorsi formativi alle campagne promozionali.